mercoledì 7 dicembre 2011

Scaricatori a cottimo

Una vita sul porto

“Era il ‘45, avevo 17 anni e mi trovavo nel magazzino di mio nonno, in Venezia, nel quale una bomba aveva, a suo tempo, provocato uno sconquasso. Io e mio zio stavamo aiutando mio nonno a raccogliere pallini di piombo, di quelli da cartucce, originariamente raccolti in sacchi e sacchetti ed al momento sparpagliati da tutte le parti. Nel pomeriggio si presentò un vecchio portuale che chiese a me e mio zio se avevamo voglia di lavorare. Io accettai e fui accompagnato all’ufficio reclutamento dell’allora Consorzio del Porto (l’avvento della Compagnia Lavoratori Portuali risale al 1947), sul Viale Caprera, gestito un tipo soprannominato naso peloso”. Esordisce così Oreste Volpi nel raccontare la propria storia di portuale oramai in pensione da ben più di venticinque anni. L’indomani mattina Oreste era già al pezzo a Barriera, a bordo del granturcaio un bastimento di granturco sfuso, per l’appunto. L’esordio nel campo del lavoro non a coffeggiare” come specifica Oreste, da coffa, com’era definito il corbello); i ragazzi riempivano la coffa e la svuotavano nel sacco che, una volta riempito, veniva legato e caricato sul bancale sbarcato, a sua volta, con quello che Oreste definisce il vinci, un antico sistema di sbarco a carrucole e cavi (bigo/bigo di forza) comandato da verricelli.
poteva rivelarsi più faticoso. Lo sbarco, infatti, avveniva tramite corbelli e balle di juta (“
All’epoca, era piuttosto comune affidare il proprio lavoro a terzi. Chi per effettiva necessità fisica, chi per scarso senso del dovere, era solito condividere il proprio turno di lavoro con qualche conoscente, magari disoccupato, che alla fine della giornata retribuiva in maniera più o meno adeguata. “A me capitava quando andavo ai ballini del grano, al silo.” specifica Oreste “ Era il lavoro più faticoso che io ricordi e proprio per questo avevamo una doppia retribuzione. Si trasportavano i ballini di grano dalle bocchette dei silos ai vagoni ed il cottimo era calcolato sia in base al numero di pezzi trasportati che alla distanza della bocchetta dal luogo di scarico. Il turno di otto ore era davvero pesante, specialmente quando capitavano le bocchette più lontane, ed io mi avvalevo della collaborazione di un conoscente disoccupato, un certo Mario: facevamo metà turno a testa e, da buoni fratelli, dividevamo la paga al 50%”. Ben diverso è il discorso per le squadre che facevano il famoso “conto”. La chiamata era effettuata a squadre di 19 persone ciascuna (poi ridotte a 15, ad 11 fino a ritornare alla chiamata singola, dei giorni nostri - ndr): indipendentemente dal lavoro da svolgere veniva sempre ingaggiata una squadra o anche di più, ma sempre squadre, a seconda dell’impegno. A quel punto, nel caso in cui l’impegno non coinvolgesse tutti quanti, l’atteggiamento poteva essere di due tipi: le squadre più solidali e volenterose avevano lavoratori che, nell’arco del turno, si alternavano alle operazioni senza mai, però abbandonare il luogo di lavoro; altre, fortunatamente più rare, una volta stabilito quanto personale era necessario, effettuavano il conto di cui sopra. “Noi non abbiamo mai fatto il conto” specifica Oreste “ma so di gente che la mattina si presentava, vedeva quanto personale era necessario e poi faceva il conto, proprio come i bimbi che giocano a rimpiattino. Se la squadra era di 15 ed il lavoro era per dieci, i cinque estratti se ne andavano per i fatti loro abbandonando i colleghi”.
Tra i lavori più duri che ha affrontato nella sua carriera di portuale, Oreste ci ricorda lo sbarco del
sale ai magazzini del monopolio nell’attuale darsena di stazionamento dei pescherecci, di fronte ai Quattro Mori. “Le navi in porto sbarcavano il sale sfuso su navicelli che entravano nella darsenetta ed ormeggiavano di fronte ai magazzini. Noi ci caricavamo i corbelli di sale sul groppone per svuotarli all’interno del magazzino. La superficie ruvida del fondo del corbello provocava, sulle spalle, piccole ferite, graffi ed escoriazioni che, a contatto diretto col sale, bruciavano da darti il buongiorno. A poco serviva una balla tra le spalle ed il fondo del corbello…”.
Al termine di un turno a sbarcare corbelli di carbone, nero di fuliggine da capo a piedi, Oreste ricorda di essersi recato in Piazza Grande a prendere il filibusse; aveva mostrato all’autista il tesserino dell’abbonamento inducendolo a farlo accomodare dalle porte anteriori affinché, sporco com’era, non interferisse con gli altri passeggeri. “Mi sembrò una delicatezza che però non fu apprezzata: mugugni ed occhiatacce la dicevano lunga su come la pensassero i miei compagni di viaggio. A casa, mia madre era costretta a togliermi pazientemente i residui del carbone dalle ciglia con l’olio”.
Nella storia di Oreste non mancano episodi divertenti. “A bordo di una nave americana,” racconta “raddoppiammo il turno e non ci fu tempo per andare a casa a mangiare. Stavamo sbarcando derrate alimentari, la maggior parte pre-cotte, per il Camp Derby, ed uno di noi pensò di organizzare un desco di fortuna: una cassa grande, quattro cassette per sgabello e poi un po’ di chicken, gamberetti, il pane a cassetta ed il pranzo era pronto. La guardia, in cima alla scaletta, si accorse dell’improvvisato banchetto e ne informò l’ufficiale americano dell’emmepi. Thomas, un negro alto due metri e grosso come un armadio si avvicinò minacciosamente a noi che, intimoriti, ci eravamo fatti piccini-piccini. A sorpresa l’ufficiale finì per arrangiare un panchetto ed unirsi all’estemporanea libagione con nostra grande soddisfazione ed altrettanto scorno per la guardia spiona”.
“A bordo di un vaporetto spagnolo e dovevamo sbarcare casse di whisky. Manovravo la mancinetta ed i colleghi in stiva mi chiesero di sbarcare il muletto che, una volta a terra, sparì dietro i capannoni per riapparire dopo pochi minuti. Lo imbarcai di nuovo ed il lavoro proseguì per alcune decine di minuti 
al termine dei quali mi fu chiesto nuovamente di sbarcare il mezzo che seguì la stessa trafila di una mezz’oretta prima. L’episodio si ripeté ancora finché apparve il caporale lamentandosi per la scarsa resa del turno. Riprendemmo a lavorare e terminammo il turno come mille altre volte. Ai bagni, fui avvicinato da un compagno che mi regalò una bottiglia del whisky oggetto dello sbarco di poco prima e fu allora che compresi il significato di tutto l’andirivieni del muletto. Il mezzo in questione aveva uno spazio vuoto, dietro l’alloggio della batteria, che fu riempito per diverse volte con le bottiglie e prontamente svuotato in macchina di qualche collega o chissà dove”.
Si susseguono gli episodi ed Oreste non si stanca di raccontare. “Di notte sul ‘Presidente’ (la vecchia President Line della Marina Mercantile USA - ndr) imbarcavamo biciclette Bianchi. Arrivavano con il manubrio parallelo alla canna ed i pedali montati verso l’interno, per occupare il minor spazio possibile. Uno di noi, di cui taccio il nome, pensò bene di raddrizzare il manubrio ed i pedali ed uscire tranquillamente dal varco come se niente fosse. La fece franca e non suscitò neanche il minimo sospetto nel finanziere di turno”.
Si racconta di travicelli svuotati e riempiti di sigarette di contrabbando acquistate a bordo. “Il tronchetto svuotato e riempito di sigarette veniva legato alla canna della bicicletta e giustificato, col finanziere al varco, come legna da ardere per il caminetto”.
“I vapori russi erano sempre pieni di donne, forse un passatempo per l’equipaggio, che impazzivano per la calze di nylon. Ne comprai un paio e le consegnai ad una di queste ‘passeggere’: in cambio ho ricevuto un rublo, una moneta dalle dimensioni generose ma dal valore irrisorio, ed un colbacco, magari quello utile per le fredde nottate invernali”.
Oreste ha fatto parte delle squadre 19bis, poi diventata 20 e 29 fino all’ultima, la 30 della quale fece parte su richiesta degli altri componenti. “La 30 era la squadra che faceva più cottimo di tutte ed io mi ci accostai volentieri”. La paga veniva calcolato in base alla resa ed al cottimo. La resa era un minimo prestabilito di merce necessario a rientrare nelle medie di sbarco laddove il cottimo era tutto ciò che ogni squadra riusciva a sbarcare o imbarcare oltre la resa. Alla fine del mese chi faceva più cottimo si trovava in busta paga qualche soldo in più.
È famoso il mercato delle piastre (twist-lock) e degli schiavi (grilli) per il rizzaggio dei contenitori a bordo ed Oreste racconta di scene in cui il furbetto di turno si procurava detto materiale che andava a rivendere ad un noto ricettatore. Gli arnesi sottratti venivano poi a mancare a completamento delle operazioni ed il solito malandrino chiedeva all’agenzia l’autorizzazione (ed i soldi) per andare a comprarne dei nuovi. Ottenuto il benestare (ed i soldi) era facile recarsi dal ricettatore di poco prima e riscattare quanto fornito previa restituzione della somma poco prima riscossa. Al termine del maneggìo, l’intrallazzone si trovava in tasca i soldi del ricettatore ed il disavanzo di quelli dell’agente marittimo.
Al di là degli episodi, nel racconto di Oreste emerge l’importanza della solidarietà ed amicizia tra i componenti della medesima squadra, in primis e dei compagni di lavoro in genere. Si coglie nettamente la diversità del ruolo che l’individuo assume nella vita di tutti giorni e quello di un lavoratore nel pieno svolgimento della propria mansione; l’amicizia poi, intendendo il sentimento più puro e disinteressato, si pone su un piano superiore, al di sopra di ogni altro aspetto della vita.
L’ultimo particolare che Oreste ci tiene a sottolineare che, in 37 anni di lavoro ha usufruito di “ben” otto giorni di mutua durante i quali ho ricevuto addirittura tre controlli sanitari. “Andai alla Mutua, in Via Ernesto Rossi, per chiedere spiegazioni sul loro comportamento. Chiesi udienza al responsabile che scoprii essere un amico d’infanzia. Da ragazzi lo chiamavamo penicillina a causa del fisico allampanato. Si giustificò dicendo che coloro che erano usi alla sospensione del lavoro per malattia erano considerati ammalati cronici mentre quelli occasionali erano tenuti maggiormente d’occhio. In seguito sono andato a lavorare anche con la febbre!”