giovedì 23 gennaio 2014

La macelleria di Sansone

Piera Piram ricorda i tempi in cui aprì col marito l'attività al Mercato Centrale

Quando Piera Piram e Gino Chiapponi, ancora fidanzatini, misero piede per la prima volta sulla pedana di legno dietro il banco N° 21 della macelleria al Mercato Centrale, era da poco passata la guerra. Armando, il padre di Piera, proveniva da una famiglia di affermati norcini, titolari di un’avviata attività in Piazza dei Mille, e pensò bene di rendere i due giovani partecipi della nuova coinvolgente avventura. Al vecchio Piram spetta la palma del primo assoluto in Toscana, e Piera azzarda forse addirittura in Italia, ad importare carne di manzo e vitello congelata dalla lontana Repubblica Argentina: una svolta per il modo di pensare e, soprattutto, di mangiare delle famiglie appartenenti ad ogni classe sociale. Con l’avvento di quel tipo di carne, dal prezzo decisamente più abbordabile rispetto a quella fresca, anche chi era soggetto alle ristrettezze economiche conseguenti  al secondo conflitto mondiale e, di conseguenza, ad una dieta più povera, poteva permettersi una buona bistecca un po’ più di frequente.
“Lo smercio della carne, di qualsiasi taglio, era talmente celere da non rendere necessario l’utilizzo di un bancone congelatore,” – racconta Piera – “infatti abbiamo acquistato il primo banco-frigo solo alla fine degli anni sessanta. Non si faceva in tempo a metterla sul banco che spariva in men che non si dica. La clientela era molto varia tuttavia i più danarosi approfittavano della carne congelata per fare voluminose scorte laddove i meno abbienti riuscivano a permettersi una bistecca o un pezzo di lesso in più”. Con l’idea della carne congelata, il Piram servì da spunto ai macellai di tutta la Toscana che approfittarono della novità per allestire giri d’affari a raggio sempre più ampio: i più intraprendenti, come i Catalani di Figline Valdarno, imbastirono reti di distribuzione ancor oggi sulla cresta dell’onda.
“Ognuno in mercato aveva un soprannome:” – continua Piera – “Vitellone, Boccino, Veleno, Ricciolo, Pipino, Cicci, Baceci… nessuno usava il nome di battesimo, a testimonianza della grande famiglia di cui facevamo parte. Il mio Gino lo chiamavano Sansone, appellativo nato allorché da ragazzo sfoggiava una capigliatura folta e fluente, oltre ad un fisico davvero invidiabile, e se l’è portato dietro finché non abbiamo lasciato l’attività”. Gino è stato un atleta vecchio stampo, già Campione Italiano Militare dei 100 metri piani, della classe “S” di Vela, atleta della compagine rugbistica labronica e, ciliegina sulla torta, niente popò di meno che tedoforo in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960. Piera tradisce un inevitabile moto di commozione, nel ricordare il brillante passato agonistico del proprio consorte, della cui compagnia il destino l’ha privata meno di otto mesi fa.
Prima dell’alba i macellai scaricavano dai camion dei fornitori i quarti posteriori interi, detti “pistole”, per la particolare conformazione, e subito cominciavano a lavorare la carne. “Ci recavamo in bottega fin dalle quattro e mezzo del mattino, per preparare le forniture per i ristoranti e le mense oltre che per i clienti abituali il cui afflusso iniziava già verso le sette. Gino era particolarmente abile nel taglio delle varie partiture di carne. La sua particolare propensione consisteva nell’individuare sempre il fascio muscolare giusto dopodichè, col coltello, praticava una piccola incisione nel quarto di manzo impercettibilmente scongelato, ed infine a forza di scalpello e martello spartiva i vari tagli. Con i pezzi duri come il marmo, individuare il verso giusto era fondamentale. Solo negli anni settanta cominciammo ad importare i pezzi già spartiti”. Si scioglie allorché rammenta l’abilità del consorte nel taglio delle bistecche: due colpi opportunamente assestati alla lombata e la bistecca cadeva sul massiccio tagliere di legno. “Era capace di colpi talmente precisi che non si sbriciolava neanche l’osso e si poteva ricostruire la lombata intera, riaccostando le bistecche appena tagliate”.
E che dire dei “chiodi”? Più di un cliente accumulava piccoli debiti con la promessa di un saldo che non sempre è ha avuto buon esito. “Un quadernetto nero conteneva la lista degli inadempienti, ma non eravamo mai in pari: quello li prometteva, quell’altro spariva dalla circolazione, un altro ancora doveva pagare il mutuo… era più l’ammattimento a star dietro a chi ci doveva dei soldi del guadagno. Alla fine, estrema ratio, decidemmo di azzerare la situazione: il libro nero finì nella spazzatura e non concedemmo mai più credito a chicchessia”.
Ai tempi in cui il Mercato Centrale era al massimo dello splendore, il sabato era il giorno della settimana di maggior impegno, per i commercianti, cosicché il venerdì veniva osservato orario continuato proprio per preparare la merce in previsione del pienone del giorno successivo. All’ora di pranzo, immense tavolate accoglievano tutti i protagonisti della giornata ed ognuno contribuiva per quello che era di sua pertinenza: chi metteva la carne e chi il pesce, qualcuno pensava alla pasta ed altri al sugo o al formaggio e la frutta ed il pranzo di venerdì finiva per assumere i connotati di una ribotta vera e propria con tanto di sfottò e baldoria come si trattasse di una festa. “I più ingordi si sfidavano a chi mangiava di più adducendo stomaci dalle capacità infinite. Abbiamo visto qualcuno che si è spolverato un intero chilo di pasta, per una sfida del genere” – racconta Piera con un pizzico di malinconia per quei momenti di svago ancorché alternati a faticosi ed impegnativi tour de force: “quando i film erano in bianco e nero ed i sogni erano a colori”, come si è sentito dire da qualcuno.
Una decina d’anni fa i coniugi Chiapponi hanno pensato bene di godersi la conseguita pensione decretando, di fatto, la cessazione dell’attività della Macelleria Piram: “Ora, al posto della macelleria c’è una polleria”. – Conclude Piera – “Abbiamo lasciato a malincuore, per certi versi, e solo la prospettiva della tranquillità ed il meritato riposo, dopo cinquant’anni di onorato lavoro e molti sacrifici, ci ha fatto compiere il passo definitivo”.

Ermanno Volterrani, 12.04.2008