domenica 5 marzo 2017

Livorno sotterranea, tra illusione e realtà


I cunicoli del vecchio acquedotto ancora praticabili
Tra illusione e realtà la Livorno sotterranea
Dalle grotte di San Jacopo alla “settima galleria”

            Il fascino della possibile esistenza di caverne, cunicoli e magazzini, dedali di corridoi e stanze e cantine che si sviluppano sotto il lastricato che ogni livornese calpesta quotidianamente ha sempre scatenato supposizioni basate più sul “sentito dire” che non su documentabili testimonianze. Leggenda vuole che sotto il Voltone ci fosse l’accesso ad una città alternativa, in antitesi con quella che ogni giorno ci troviamo sotto gli occhi, con tanto di vicoli, negozi con relative insegne ed abitazioni immersi in un ambiente buio ed intriso di umidità e miasmi mefitici. Affascinante il mistero della settima galleria, attraverso cui si poteva partire dalla Fortezza Nuova, arrivare sul Pontino e proseguire fino a piazza Rangoni, oggi piazza Garibaldi: il nome di per se implica l’esistenza di almeno altri sei passaggi potenzialmente utilizzabili (o utilizzati?) quali rifugi per sfuggire ai bombardamenti dell’ultimo conflitto, ma di cui non si ha notizia certa.

Nel 1849 qualcuno, rimasto anonimo, raccontò, ne “I misteri di Livorno”, di un locale posto in un vicolo buio della Venezia Nuova “dove un gentiluomo non può passare per i fatti suoi nella notte senza pericolo di essere gratuitamente sventrato”. L’osteria “I tre mori”, era questo il nome del locale, era priva d’insegna tuttavia si narra di una scala tortuosa in fondo a cui, attraverso tre botole, si accedeva ad altrettanti locali sotterranei nei quali veniva riposta la refurtiva, la “busca”, risultato di una giornata di estorsioni e ladrocini: dai locali sotterranei è facile immaginare vie di fuga che consentissero ai malviventi di dileguarsi nel buio, magari lungo i fossi, i
n caso d’irruzioni delle autorità preposte. Il solito anonimo, inoltre, raccontava di aver visitato una galleria naturale scavata dalle onde lungo la scogliera di San Jacopo; il c
galleria di contrammina
unicolo si addentrava fin sotto la Chiesa raggiungendo una specie di grotta e da lì altri due locali da cui si dipartivano ulteriori budelli probabilmente anch’essi utilizzati quali nascondiglio per refurtiva di vario genere o merci di contrabbando.

Facendo un passo indietro, l’antico progetto della cinta muraria con fortificazioni alla moderna, il cosiddetto Pentagono di Buontalenti del tardo XVI secolo, potrebbe aver previsto una rete di cunicoli che garantissero agevoli vie di fuga ai Granduchi ed al loro seguito in caso di attacchi selvaggi di popoli invasori tuttavia non esiste alcun documento negli Archivi Medicei di Toscana, ufficiale o segreto, che dimostri la fondatezza di una congettura del genere.

galleria di mina
            Qualche certezza in più ci viene dalla pubblicazione “Livorno sotterranea e dintorni di sopra” di Riccardo Ciorli e Ugo Canessa, Gli Assaggini del Gufo edizioni del 2004, in cui si parte dall’immagine di una Livorno fortificata della metà del 1700, quando assumeva particolare importanza la Porta a Pisa, corrispondente al lato est dell’odierna via Grande, da dove si raggiungeva la vera e propria Dogana a Terra attraversando un ponte per metà in muratura e per metà in legno (facile da smantellare in caso di tentativi d’invasione). Gli spalti di fronte alla fortezza, oltre il fosso reale, furono soggetti ad uno sviluppo urbanistico selvaggio e per lo più abusivo. La successiva edificazione del Voltone, nel 1844, resasi indispensabile dalle impellenti necessità d’ampliamento della città, impose un nuovo piano stradale ben al di sopra di quello originario,
la cui inevitabile conseguenza fu di oscurare tutto ciò che di precedentemente costruito se ne trovava al di sotto.

            Dalle preistoriche grotte nel monte Tignoso (raso al suolo per ricavarne pietrame), detto anche poggio delle Fate, alle Catacombe di San Jacopo, dai sotterranei posti sotto la Chiesa di Santa Caterina, in Venezia, ai locali sotterranei della Chiesa Armena è lecito attendersi di più, anche se, per il momento, l’esplorazione non si avventura oltre i luoghi recentemente scoperti.

pentagono di Buontalenti
Che sotto la Fortezza Nuova si sviluppino cunicoli meritevoli di ben altra visibilità è testimoniato da tracce di camminamenti che costituivano la cosiddetta Mina, presenti un po’ in tutti i resti dei bastioni che originariamente costituivano la cinta muraria. All’interno di detti cunicoli sarebbero state accatastate polveri da sparo e micce che avrebbero consentito all’eroe di turno d’immolarsi facendo saltare le mura e gli eventuali invasori intenti a scavalcarle. E allora, perché non cedere alla tentazione di cercare le fondamenta del Bastione di San Francesco e magari il gruzzolo di monete d’oro seppellito, a scopo propiziatorio, laddove gli storici ritengono sia stata posta la prima pietra della nostra beneamata città nel lontano 1577?

Meno nobile e per ben altro intento realizzata, la fitta rete
di collegamenti delle cantine tra loro è ben più concretamente credibile: i locali posti alla base dei palazzotti signorili, disseminati un po’ dappertutto nel centro cittadino, erano l’anima del fiorente commercio nel porto di Livorno tuttavia è lecito supporre che, tanto più ci si allontanava dalle zone più frequentate, quanto più si favoriva il prolificare d’illeciti commerci quali la ricettazione o il contrabbando. Un curioso episodio di qualche tempo fa è la conferma di quanto ci sia da scoprire nei sotterranei di Livorno: durante lavori di restauro nella zona del Pontino, all’abbattimento di una parete di una cantina fu rinvenuta la ferrea ossatura di un camioncino modello Tigrotto della OM. L’eccezionalità del ritrovamento stuzzicò la curiosità degli addetti ai lavori che tuttavia, vista l’assenza di collegamenti carrabili lì attorno, non riuscirono a capire come il mezzo avesse potuto raggiungere il suo ultimo e definitivo ricovero. Sta di fatto che, per bonificare la cantina, gli operai furono costretti a tagliare a pezzi la carcassa a colpi di fiamma ossidrica.

Le condotte dell’antico acquedotto del Salvetti, la cui opera è stata completata dall’architetto Pasquale Poccianti, rimangono dunque l’unica testimonianza tangibile di camminamenti sotterranei: a partire dal Cisternone, detto la Gran Conserva, essi si estendono a raggiera e possono essere agevolmente percorsi per raggiungere varie zone della città, pur da un individuo di corporatura non troppo ingombrante. La costruzione delle condotte prevedeva, per questioni puramente fisiche, il rispetto di pendenze che, all’epoca in cui non esistevano pompe, consentissero la distribuzione uniforme del prezioso bene: inevitabile, quindi, il riempimento delle zone interessate e la conseguente sepoltura delle strutture preesistenti, magari proprio le fantomatiche botteghe, viuzze, vicoli e magazzini oltre il Voltone.



Ermanno Volterrani, 27.06.2008